Attività storiche e shopping di prossimità

Photo by Joanne Adela Low on Pexels.com

C’era una volta il mondo di una volta.

C’era una volta le famiglie numerose che però vivevano con meno. I supermercati sono affare relativamente recente, si parla dell’inizio del 1900. Prima si acquistava nei mercati e nei negozi di quartiere. Nelle botteghe, nelle drogherie, dagli artigiani.

Ho un’idea piuttosto romantica dello shopping di prossimità. Il commerciante che conosce i suoi clienti, che li saluta per nome, che sa già quello che piace alla signora Maria e quello che lo scapolo passa a prendere quando rientra dal lavoro. Il sarto che ti cuce i vestiti su misura, il ciabattino che ti ripara le scarpe buone e il panettiere che ti mette da parte il pane in un sacchetto che profuma di meraviglia.

Quando ero piccola e vivevo a Milano, due portoni dopo il nostro c’era un macellaio. Capelli corvini, baffetto, camice bianco. Mia madre spesso si fermava a comprare da lui prima di tornare a casa. Lui era molto cordiale e ci salutava sempre. Me lo ricordo ancora, anche se sono passati 30 anni e i suoi capelli non sono più corvini. Però sono contenta che sia ancora lì, con la sua botteghina, nonostante il tempo e la concorrenza dei supermercati.

Sono poche le attività storiche che sono sopravvissute alla grande distribuzione, ad Amazon, alla crisi e ora anche al Covid. Ma il loro valore è impagabile. Le persone che le animano sono impagabili. Strozzate da quanto detto, portano avanti con coraggio la battaglia di chi conosce e di chi sa fare, contro all’anonimato di internet e degli ipermercati. La loro merce costa di più, ma in quell’etichetta sono contenuti, oltre al prodotto, la conoscenza, l’attenzione al cliente, una selezione accurata, gli affitti nei centri storici. E’ una battaglia impari. Ma noi abbiamo le nostre responsabilità.

Sì anche noi minimalisti. Noi che conosciamo il valore del poco ma buono, noi che possiamo fare a meno di stipare gli armadi e il frigorifero, noi che “meglio un buon gambero pescato fresco, che tre scatole di surgelato”. Noi che meglio un abito da commercio etico, che il pacco di magliette a 10 euro. Noi che il pane industriale non sarà mai all’altezza dello sfilatino artigianale ai semi.

Le attività storiche stanno morendo, ma qualcuno ancora resiste. E’ una scelta responsabile, quella di puntare sul poco ma di qualità e trasmettere ai nostri congiunti questo mantra. Dobbiamo diffondere questa convinzione.

Anche io vado al supermercato e anche io mi faccio tentare (ormai raramente) dal fast fashion. Ma ho parlato con i commercianti di quartiere, li ho intervistati e ho scritto le loro storie. Ho appreso la fatica che sta dietro alla coltelleria Gianola del centro di Varese che da un secolo affila a mano le lame dei clienti. Oggi c’è una donna a capo del negozio, una gran donna. Ho parlato con il pescivendolo Piccinelli di corso Matteotti e ho sentito delle sue sveglie all’alba. Ho assaggiato i prodotti che vende, preparando in casa mia un sugo di pesce da ristorante. Mi sono fatta inebriare dai profumi della drogheria Vercellini e solo lì ho trovato la fava tonka per i miei dolci , tirata fuori da un barattolo dalle mani nodose della vedova ormai anziana, ma dalla tempra d’acciaio.

Capisco le esigenze delle famiglie di oggi con i soldi contati e poco tempo per la spesa. Conosco la comodità di trovare tutto al supermercato senza dover girare di bottega in bottega. Ma ci perdiamo qualcosa, dimenticando i negozietti. Concedetevi la gioia di fare compere come una volta. Non sempre c’è fretta. Rallentate.

Ricordate che meno è meglio. Ma che sia davvero il massimo che potete concedervi.

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